Errori frequenti nella contabilizzazione indiretta e diretta del calore

Errori frequenti nella contabilizzazione indiretta e diretta del calore

La legge 10/91, art. 26, comma 5, prescrive che le spese di riscaldamento siano ripartite “in base al consumo effettivamente registrato”.

Il D.Lgs. 102/2014, art. 9, comma 5, lettera d), prescrive: “l’importo complessivo deve essere suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto, secondo quanto previsto dalla norma tecnica UNI 10200 e successivi aggiornamenti...

Per questa precisa ragione la norma UNI 10200 - punto 11, paragrafo 4 - prescrive, quale condizione per l’accettabilità della contabilizzazione indiretta: “I risultati della ripartizione delle spese, se ottenuti con dispositivi che non sono in grado di misurare l’energia effettivamente assorbita, ma forniscono un certo numero di unità di ripartizione o scatti (contabilizzazione indiretta), non devono differire in modo significativo da quelli che potrebbero essere ottenuti con contatori di calore (contabilizzazione diretta).”

Questa disposizione produce precise conseguenze sulla struttura della norma, che non può essere correttamente interpretata se non si comprende che diversi contenuti sono pensati proprio per soddisfare questo requisito.

Purtroppo gli operatori meno attenti possono introdurre, nel complesso delle operazioni previste dalla progettazione, installazione e gestione di un impianto di contabilizzazione del calore di tipo indiretto, alcuni errori o inosservanze che non consentono di soddisfare le condizioni sopra richieste.

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Come funziona la contabilizzazione indiretta

Per meglio comprendere le esigenze della contabilizzazione in-diretta è opportuno esaminare preliminarmente come dovrebbe funzionare un ripartitore. Il condizionale è suggerito dal fatto che la relativa norma di prodotto, la UNI EN 834, è una norma lacunosa e piena di misteri, come già illustrato nell'articolo "La contabilizzazione conforme alla norma UNI EN 834 risponde ai requisiti della Direttiva 2012/27/UE?" di Soma e Socal, pubblicato sul n. 48 di Progetto 2000.

La fisica di funzionamento di un corpo scaldante a convezione naturale è ben nota da molto tempo. La sua emissione termica è proporzionale alla differenza fra la sua temperatura media e quella dell’aria dell’ambiente in cui è installato.

L’emissione del calore non è lineare col salto termico ma è ben approssimata con una proporzione al salto termico elevato a 1,3:

Q ≈ K x ∫(∆T1,3dt)

Tenendo conto del rapporto fra il salto termico misurato ∆T e quello nominale ∆TN si ottiene l’equazione:

Q = PN x (∆T/∆TN)1,3dt

In quest’ultima equazione, se la potenza nominale PN è espressa in kW in corrispondenza al salto termico ∆TN ed il tempo t in ore, allora l’energia erogata Q è espressa in kWh.

In pratica, il ripartitore dovrebbe misurare la temperatura media del radiatore, la temperatura dell’ambiente ed integrare nel tempo la differenza ∆T. Per risolvere l’equazione sopra riportata e calcolare l’emissione Q in kWh, il ripartitore ha bisogno di conoscere la potenza nominale PN.

Il buon senso vorrebbe quindi che le unità di ripartizione valessero 1 kWh, salvo l’introduzione poco giustificata di un coefficiente di proporzionalità che molti costruttori mantengono accuratamente segreto.

La ragione addotta per giustificare questa segretezza è che la norma UNI EN 834 vieta di indicare l’unità di misura; in altri termini, la norma vieta l’uso della matematica. Inutile dire che, unità di misura o meno, quando i ripartitori sono utilizzati per ripartire una quantità predefinita, i risultati non cambiano.

E’ quindi la stessa cosa? No, perché la valorizzazione dell’unità di ripartizione consentirebbe almeno un controllo generale di coerenza del rapporto fra calore volontario ed involontario. Nel caso di errori macroscopici, il fornitore dell’impianto avrebbe modo di avvedersene e di correre ai ripari (1).

Nota (1). Nell’ultima riunione della CT 271 del CTI, un produttore di ripartitori sosteneva l’assoluta impossibilità di dichiarare l’unità di misura dell’unità di ripartizione. Richiestene le ragioni, questi risponde: "Spesso gli installatori li montano in modo sbagliato per cui non si sa più che cosa segnano; poi chi se la prende la responsabilità?" E’ inutile ogni commento, se non il rafforzamento della convinzione dell'utilità di conoscere il valore energetico dell'unità di ripartizione.

Si consiglia pertanto, in caso di dubbi, di eseguire a fine stagione la seguente verifica, che fornisce un indice di qualità generale.

Dal calore totale in uscita dal sottosistema di produzione si sottrae il calore involontario, determinato con il metodo semplificato suggerito dalla norma UNI 10200, per ottenere, per differenza, il totale del calore volontario

Qvol = (Qtot - Qinv),

quest’ultimo da determinarsi come frazione dell’energia prodotta

Qinv = (Qtot × finv).

Si divide il consumo volontario Qvol per il totale delle unità di ripartizione, somma di quelle di tutte le unità immobiliari, e si ottiene il valore energetico dell'unità di ripartizione

VUR = Qvol / URtot (kWht/UR)

Per un certo modello di ripartitore, di una determinata marca, questo valore dovrebbe risultare ragionevolmente costante nei diversi edifici e nelle diverse stagioni. Eventuali scostamenti rispetto al valore medio potrebbero significare un'imperfetta valutazione del consumo involontario. Una certa disuniformità dei valori in diversi edifici potrebbe significare invece un montaggio non accurato, un rilievo non accurato delle potenze o altri problemi da individuare.

1. Errata valutazione della potenza

Per quanto sopra illustrato l’errore più frequente è senz’altro costituito dall'errata valutazione della potenza del corpo scaldante, erogata in corrispondenza di una differenza di temperatura fra la media del radiatore e l’ambiente di 60 °C.

Se la potenza reale è diversa da quella presunta e memorizzata nel dispositivo ripartitore, le sue indicazioni (unità di ripartizione) non sono più proporzionali all’energia erogata.

In altra sede(vedi articolo "Il calcolo della potenza termica nominale dei corpi scaldanti con il metodo dimensionale" su Progetto 2000 n. 48) avevamo già illustrato il malcostume di molti produttori di corpi scaldanti, che indicavano nei propri cataloghi dati di emissione termica assolutamente sovradimensionati (fino agli anni ’60 venivano dichiarate le sole superfici radianti poi, dagli anni 70, le emissioni termiche); salvo però rari casi, quali le associate ECOMAR, i dati dichiarati erano convenientemente aumentati rispetto a quelli rilevati in camera di prova e certificati da enti universitari.

Molti produttori di ripartitori custodiscono gelosamente i dati di emissione termica di migliaia di modelli di corpi scaldanti, le cui origini non sono note e che potrebbero essere affetti da errori anche gravi.

Un’attenuante è costituita dall'omogeneità dell’errore: se l’errore è costante su tutti i radiatori del condominio di fatto, nella ripartizione tende ad annullarsi. Non del tutto però perché ove i radiatori fossero tutti della stessa marca, coesistono comunque nell’appartamento diversi modelli (diversa altezza o profondità). Non solo, ma negli impianti molto datati sono frequenti le sostituzioni con modelli molto diversi da quelli originari.

Dal 1993, data di pubblicazione della norma UNI 10200, la disponibilità del metodo dimensionale per la determinazione dell’emissione termica dei corpi scaldanti ha colmato questa lacuna (almeno per i corpi scaldanti per cui esso è applicabile, che sono la maggior parte di quelli installati in passato negli edifici italiani).

Quello che non si spiega è perché alcuni produttori di ripartitori, invece di utilizzare questa opportunità, non vogliano riconoscere la validità del metodo dimensionale, senza peraltro essere in grado di portare almeno un caso di corpo scaldante su cui il metodo non funzioni. Evidentemente, avendo finalmente capito la grande affidabilità del metodo, temono che possano emergere situazioni che è meglio non conoscere nei criteri di gestione degli impianti di contabilizzazione, probabilmente non in linea con la legislazione italiana.

2. Errori di montaggio

Con riferimento alla NOTA(1), va precisato che l’errore di misura di ∆T, che comprende l’errore di misura della temperatura superficiale del corpo scaldante e l’errore di misura della temperatura ambiente, si ripercuote totalmente sulla valutazione dell’emissione istantanea del corpo scaldante.

Il coefficiente Kc fornito dal costruttore e memorizzato nel ripartitore ha lo scopo di correggere l’errore di misura di ∆T.

La condizione però per cui questa correzione sia effettiva, è che il ripartitore sia installato con cura sul corpo scaldante secondo le indicazioni e con l’uso degli accessori forniti dal costruttore (si tratta di riprodurre le condizioni nelle quali il costruttore ha determinato il coefficiente Kc).

Ecco che, se a fine stagione si constatasse una forte differenza fra l’energia attesa e quella indicata dalle unità di ripartizione, emergerebbe la necessità di individuare e rimuovere le cause dell’anomalia. Certo che il non saperlo semplifica le cose, a danno però dei diritti degli utenti.

3. Temperatura di mandata troppo elevata

La regolazione termostatica, che deve sempre accompagnare la contabilizzazione del calore, ha anche lo scopo di compensare eventuali sbilanciamenti. Perché ciò sia possibile, il fluido termovettore deve essere distribuito ad una temperatura superiore a quella che occorrerebbe per raggiungere teoricamente i 20 °C negli ambienti.

In tal modo, in caso di corpi scaldanti scarsi si avrebbe un incremento dell’emissione termica. Nel caso invece di corpi scaldanti già abbondanti, la regolazione termostatica provvederà a limitare l’emissione termica in modo che essa eguagli esattamente il fabbisogno. Il grafico della figura n. 1 evidenzia questa opportunità.

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Fig. n. 1: Grafico della temperatura di mandata

Una curva di compensazione troppo alta o, peggio, una regolazione a punto fisso, potrebbe provocare lo scambio della quantità di calore necessaria a compensare il  fabbisogno utilizzando solo una parte del corpo scaldante. In tal caso il ripartitore verrebbe a trovarsi in una zona che non è più rappresentativa della sua temperatura media.

Se questo fenomeno fosse spinto all’estremo (mezza stagione con regolazione a punto fisso), lo scambio potrebbe esaurirsi addirittura sopra la posizione di installazione del ripartitore. La conseguenza sarebbe in questo caso l’utilizzazione di una pur modesta quantità di calore  che sarebbe però totalmente gratuita per l’utente che si trovasse in tale condizione (vedi figure n. 2a e n. 2b).

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Fig. n. 2a: Il ripartitore non rileva alcuna differenza di temperatura tra radiatore e ambiente (il calore prelevato è gratuito)

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Fig. n. 2b: Il ripartitore misura una temperatura inferiore alla temperatura media (l'utente paga meno del dovuto)

Questo fenomeno potrebbe risultare particolarmente grave in presenza di impianti monotubo. In presenza di questo tipo di impianto (figura n. 3) la corretta ripartizione delle spese richiederebbe l’addebito di tre voci: il calore volontario, emesso dai corpi scaldanti, il calore involontario emesso dall’impianto distribuzione di proprietà condominiale e quello che potremmo chiamare “obbligato”, emesso dall’anello monotubo, di pertinenza dell’utente, perché di sua proprietà in quanto originato dopo il “punto di distacco” dall’impianto condominiale.

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Fig. n. 3: Impianto monotubo

Un problema analogo, se pure diverso, si presenta negli impianti a collettori complanari (figura n. 4) nei quali le tubazioni di collegamento fra collettore e corpi scaldanti, anch’esse di pertinenza dell’appartamento in quanto posate dopo il punto di distacco costituiscono un vero e proprio impianto a pannelli. In questo caso la soluzione è più semplice perché la potenza di ogni tubo di collegamento, valutata dal progettista, può essere aggiunta alla potenza del corpo scaldante.

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Fig. n. 4: Impianto a collettori complanari

In alternativa, se la norma (in revisione) non contemplasse simili soluzioni, la contabilizzazione del solo calore emesso dai corpi scaldanti non rappresenterebbe il consumo dell’appartamento ed andrebbe quindi evitata.

4. Eccessiva riduzione del fabbisogno

Si sono verificati casi in cui, in conseguenza di isolamenti termici molto consistenti in alcuni alloggi, oppure per l’uso di stufe a pellets di potenza eccessiva, il fabbisogno veniva soddisfatto quasi completamente da queste fonti di calore, senza l’intervento dei corpi scaldanti collegati all’impianto centralizzato. Le conseguenze sono le stesse di quelle segnalate al punto precedente.

Per evitare isolamenti termici eccessivi il progettista dovrà eseguire un attento studio, che tenga conto della presenza della contabilizzazione e degli effetti conseguenti.

Per scoraggiare invece gli utenti dall’uso di stufe il miglior deterrente è l’adozione di impianti di produzione ad altissimo rendimento che consentano di ottenere un costo di produzione del calore nettamente più conveniente.

5. Pannelli riflettenti

Un provvedimento di risparmio energetico molto efficace sotto il profilo dei costi, anche se comporta risparmi piuttosto modesti, è la posa di un pannello riflettente sul muro di fronte al quale è installato il corpo scaldante. Il pannello riflettente blocca quasi completamente l’energia radiante emessa dalla faccia posteriore del radiatore, che andrebbe in gran parte persa in dispersioni, tenuto conto che i corpi scaldanti sono spesso installati sotto finestra dove il muro è di spessore ridotto.

In questi casi però, se si memorizza nel ripartitore la potenza nominale, l’utente pagherebbe anche per la potenza radiante non emessa dalla faccia posteriore del corpo scaldante.

La correzione non sarebbe difficile basterebbe diminuire la potenza per ∆T 60 °C del termine 314.S (Watt), dove S rappresenta la superficie frontale posteriore del corpo scaldante, in m2.

6. Corpi scaldanti composti da pochi elementi

Come già più ampiamente illustrato nell’articolo "Il calcolo della potenza termica nominale dei corpi scaldanti con il metodo dimensionale", il problema della valutazione dei corpi scaldanti è stato da sempre di tipo commerciale. Inizialmente, il prezzo di vendita era riferito alla superficie radiante; in seguito, si è consolidata la convinzione che il valore di un corpo scaldante fosse invece legato alla sua emissione termica.

E’ in questo contesto che è nata la prima norma di prova italiana, la UNI 6514-69. Per esigenze legate alle caratteristiche delle camere, la norma di prova prescriveva che il campione avesse un numero di elementi superiori a 10 (per ridurre l’influenza dell’emissione radiante delle facce laterali) ed una potenza compresa fra 1.000 e 2.500 W, per garantire la compatibilità con le potenze frigorifere della camera di prova.

L’emissione di riferimento era riferita all’elemento di corpo scaldante ed era ottenuta dividendo la potenza nominale del gruppo in prova per il numero di elementi. Per questo uso (riferimento commerciale) si era convenuto che questo dato fosse fisso ed invariabile, perché a questo dato veniva riferito il prezzo.

Più avanti è stata varata la norma UNI EN 442 finalizzata allo stesso scopo, ossia la valutazione dell’emissione dei corpi scaldanti; il prezzo è riferito all'emissione termica dell'elemento di corpo scaldante. Ovviamente il dato è utilizzato anche per la valutazione tecnica legata al dimensionamento degli impianti, ma questa non richiede la stessa precisione.

Fra gli scopi delle norme di prova, compresa la UNI EN 442, non è previsto il loro uso nel settore della contabilizzazione del calore, previsto invece, in modo rudimentale, dalla norma UNI EN 834 e, in modo più raffinato, per i motivi già illustrati, dalla norma UNI 10200.

L'emissione radiante delle facce laterali del corpo scaldante non è trascurabile. Nel gruppo sottoposto a prova, composto da un minimo di 10 elementi, questa emissione incide per 2/10 (2 facce/10 elementi); la sua influenza è quindi trascurabile per corpi scaldanti di dimensioni prossime a quelle del corpo scaldante sottoposto a prova. Se invece il corpo scaldante è composto da un numero di elementi ridotto, per esempio 2, l'influenza delle facce laterali è di 2/2.

La norma UNI 10200 prevede questa correzione che però oggi, in sede di revisione, viene messa in discussione. Si tenga presente che, ove questa correzione non avvenisse, i proprietari di corpi scaldanti con meno di 10 elementi riceverebbero più calore rispetto a quello che pagano.

Va infine chiarito che la norma UNI EN 442, di competenza del CEN  TC 130, è una norma di prova che fissa le condizioni per la confrontabilità dei prodotti, ossia per l’uso per il quale è stata prodotta. La norma UNI 10200 è invece una norma finalizzata alla ripartizione delle spese di riscaldamento in conformità con la legislazione italiana ed è completamente estranea alle competenze del TC 130.

7. Presenza di aria nei radiatori

La presenza di aria nei corpi scaldanti potrebbe bloccare la circolazione in alcuni elementi dalla parte del lato previsto per lo sfogo dell’aria. Il fenomeno è generalmente progressivo e la sua presenza comporta errori nella contabilizzazione. Secondo l’entità del fenomeno gli errori potrebbero essere positivi o negativi, come illustrato dalle figure n. 5a e n. 5b.

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Fig. n. 5a: L'utente paga meno del calore fornito

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Fig. n. 5b: L'utente paga anche il calore non fornito

8. Copricaloriferi

La presenza di copricaloriferi è causa di errori molto variabili, secondo il tipo costruttivo, che possono essere anche gravi (Fig. n. 6).

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Fig. n. 6: Esempio di copricaloriferi

La ragione è che la potenza nominale del corpo scaldante non è più quella del radiatore libero e la misura della temperatura ambiente è affetta da errori gravi, non correggibili con il coefficiente Kc.

La migliore soluzione è quella di eliminare i copricaloriferi; se non vengono rimossi bisognerà essere consapevoli di una misura molto imprecisa.

9. Termoconvettori

Anche i costruttori di termoconvettori si sono adeguati al malcostume di dichiarare nei propri cataloghi dati nettamente superiori a quelli ottenuti con le prove termiche, con una triplice aggravante:

  1. il metodo dimensionale non è applicabile a questi prodotti generando molta incertezza sulla determinazione della potenza nominale;
  2. l’individuazione del punto di temperatura media non è agevole e la misura è pertanto meno precisa;
  3. spesso le batterie alettate dei termoconvettori sono quasi del tutto occluse da uno spesso strato di polvere, che ne riduce notevolmente la resa; il ripartitore però non lo sa e continua a totalizzare unità di ripartizione come se il termoconvettore fosse pulito (la colpa è ovviamente dell’utente che non provvede alla dovuta manutenzione).

Alcuni modelli di termoconvettori hanno una serranda di regolazione dell’emissione. I ripartitori non possono ovviamente essere installati su apparecchi di questo tipo.

Il consiglio, in ogni caso, è di sostituire i termoconvettori con corpi scaldanti; in alternativa, meglio rinunciare alla contabilizzazione.

Questa eventuale decisione deve essere supportata da una perizia che illustri le problematiche specifiche e l’eventuale ostacolo economico ad una corretta soluzione.

10. Contabilizzazione diretta

In base a quanto sopra illustrato potrebbe sembrare che la contabilizzazione indiretta non sia per niente affidabile e che quindi solo quella diretta, mediante contatori di calore, possa fornire garanzie di equità.

Per quanto possa valere la mia esperienza professionale posso affermare che non è così. Anche con la contabilizzazione diretta si commettono errori molto gravi, dovuti alle cause più varie, fra cui si elencano:

  1. posizioni di installazione errate per cui si misura la portata di un circuito e le temperature di andata e ritorno di un circuito diverso;
  2. scelta sbagliata della dimensione. Vengono a volte installati contatori di calore dello stesso diametro della tubazione senza tenere conto del campo di portate con cui l’impianto lavora;
  3. alcuni contatori di calore funzionano con differenze di temperatura fra andata e ritorno troppo piccole, compiendo errori piuttosto gravi;
  4. a volte, per errore o per malafede, le sonde di temperatura non vengono sigillate. In tal modo estraendo più o meno la sonda di mandata o quella di ritorno si può addomesticare come si vuole l’energia totalizzata.

La contabilizzazione diretta è regolata dalle norme UNI EN 1434, composte dalle seguenti parti:

  • UNI EN 1434-1:2007 Contatori di calore - Parte 1: Requisiti generali;
  • UNI EN 1434-2:2007 Contatori di calore - Parte 2: Requisiti costruttivi;
  • UNI EN 1434-3:2009 Contatori di calore - Parte 3: Scambio di dati e interfacce;
  • UNI EN 1434-4:2007 Contatori di calore - Parte 4: Prove per l'approvazione del modello;
  • UNI EN 1434-5:2007 Contatori di calore - Parte 5 : Prove per la verifica prima;
  • UNI EN 1434-6:2007 Contatori di calore - Parte 6: Installazione, messa in servizio, controllo e manutenzione.

Conclusioni

Lo scopo di quanto illustrato non è certo quello di generare sfiducia nella contabilizzazione del calore, ma di far capire che non si tratta di un mestiere banale, ma di un’operazione il cui risultato dipende dal rispetto di un complesso di regole di metrologia che occorre conoscere per operare correttamente.

La progettazione degli impianti di contabilizzazione, diretta o indiretta va quindi affidata a specialisti che conoscano queste regole e che sappiano assumere la completa responsabilità del proprio operato.

Alcuni produttori e gestori di ripartitori operano in modo molto semplificato senza curarsi delle cause di errore sopra citate; il fatto che da oltre trent'anni operino in tal modo non li autorizza però a continuare.

Pubblicato il: 31/12/2015
Autore: F. Soma