La crisi, il debito pubblico, i sacrifici: nessuna colpa?

La crisi, il debito pubblico, i sacrifici: nessuna colpa?

La materia è propria degli esperti di finanza ma, vista la innegabile e clamorosa imprevidenza da loro dimostrata, i tecnici vogliono esprimere la loro opinione.

Non tocca certo a noi tecnici giudicare in generale sulle cause che hanno portato ad un debito pubblico così rilevante e su quelle che hanno causato una progressiva involuzione della nostra economia. Ritengo invece che sia nostro dovere esprimere alcune valutazioni su aspetti particolari che riguardano da vicino il nostro lavoro e che hanno implicazioni non trascurabili sulle problematiche che ci affliggono.

Ci riferiamo in particolare alle modalità di incentivazione del risparmio energetico. Gli impegni sottoscritti a Kyoto ed il buon senso richiedono una drastica riduzione del fabbisogno energetico. Il consumo energetico non porta, infatti, nessun vantaggio alla nazione, né all’Europa, ma solo danni: inquinamento, peggioramento della bilancia dei pagamen-ti e riflessi depressivi sull’economia generale, riducendo in fumo ingenti risorse che potrebbero essere destinate ai consumi utili.

CONSIDERAZIONE PRELIMINARE

Qualche critica va mossa anche all’Unione Europea e al suo pacchetto “clima energia” con il suo scenografico obiettivo da raggiungere entro il 2020: 20/20/20, più simile ad uno slogan che ad una reale esigenza ragionata e verificata.

Il primo 20 indica il proposito di ridurre del 20% i gas ad effetto serra, il secondo 20 rappresenta la volontà di ridurre del 20% il consumo di energia primaria da fonti non rinnovabili, attraverso un aumento dell’efficienza energetica, ed il terzo il proposito di consumare il 20% di energia da fonti rinnovabili.

Prescindendo da qualche ritocco delle percentuali nei diversi paesi membri, il primo 20 è un obiettivo che dipende chiaramente dagli altri due e non merita commenti. Gli altri due si propongono invece di ridurre del 40% la dipendenza dall’estero per fonti di energia non rinnovabile (di origine fossile). Ed allora che bisogno c’era di fissare il 20 + 20. Un’analisi più ragionata avrebbe forse indicato che “l’efficacia sotto il profilo dei costi”, tanto e giustamente perseguita dall’Europa, avrebbe forse privilegiato un 30 + 10 o un’altra combinazione più economica ed efficace.

In altri termini, occorre chiarire l’obiettivo: perché vogliamo produrre e consumare energie da fonti rinnovabili? Per consumare meno risorse non rinnovabili. Ma allora, prima di produrre costose energie rinnovabili, perché non evitare di consumare energia non rinnovabile con costi enormemente inferiori?

Non si tratta di cosa di poco conto, come si cercherà di dimostrare più avanti.

Intanto, per favorire il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Unione Europea, gli stati membri hanno studiato specifici meccanismi incentivanti.

1ᵃ FORMA DI INCENTIVO: IL CONTO ENERGIA

Riportiamo alcuni concetti già espressi a pagina 11 del numero 38 di Progetto 2000 (giugno 2010):

“Abbiamo più volte sostenuto che il risparmio energetico e la produzione di energia da fonte rinnovabile, concorrono entrambe, allo stesso modo, a ridurre l’inquinamento atmosferico e la dipendenza energetica dalle fonti primarie non rinnovabili (vedi anche Progetto 2000 n. 35 ). Abbiamo però evidenziato anche che il costo del risparmio è di molto inferiore a quello necessario per la produzione di una stessa quantità di energia rinnovabile.

Il tempo di ritorno degli investimenti per la produzione di energia elettrica fotovoltaica, in assenza di contributi di terzi, è, infatti, dell’ordine dei 30-40 anni. In altri termini, gli investimenti non si ripagano, in quanto la durata degli impianti è verosimilmente inferiore.
Ecco allora che l’Europa alimenta un mercato artefatto, attraverso il conto energia, impiegando risorse finanziarie da capogiro per produrre una quantità di energia non determinante per la soluzione dei problemi energetici.”

E’ vero che il “conto energia” non grava sul bilancio dello stato, ma è a carico dei consumatori. Per loro, il costo, ad oggi, è dell’ordine di quasi sette miliardi di Euro all’anno per 20 anni ed è in continuo aumento. E’ evidente il danno per l’economia: questa enorme cifra è, infatti, sottratta ai consumi privati, necessari per il sostegno della produzione e dell’occupazione. E’ vero che la progettazione e l’installazione degli impianti di produzione alimenta un proprio mercato; questo mercato è tuttavia costituito principalmente da prodotti di importazione e quindi privo di ricadute sulle industrie manifatturiere nazionali.

C’è chi sostiene che un importante utilizzo dei pannelli fotovoltaici potrebbe ridurre i costi di produzione; questo è senz’altro vero, non era però il caso di contribuire con quantità così rilevanti per assolvere un compito che è forse più di competenza della ricerca scientifica.

Inoltre, è purtroppo vero anche il contrario: la disponibilità di incentivi così allettanti ha prodotto un aumento dei prez-zi; tanto, il conto energia poteva ripagarli (lo sanno i pensionati, che non se li possono permettere, che contribuiscono a pagare i pannelli fotovoltaici installati da investitori ben più facoltosi?).

Non sarà certo difficile per il nostro paese rispettare gli impegni di Kyoto, tanto più che il 20% ci è stato ridotto al 17%, ma a quale prezzo!

Si tratta senza dubbio della forma d’incentivazione più costosa, se rapportata con l’entità dell’energia rinnovabile prodotta (= non rinnovabile risparmiata).

Un ulteriore inconveniente, meno evidente, ma non trascurabile, sono i problemi creati al servizio elettrico nazionale. In particolare il sabato e la domenica una parte notevole della domanda elettrica è coperta dalle fonti eoliche e fotovoltaiche, non programmabili e legate alle condizioni metereologiche. Per cui, gli impianti di base devono uscire e rientrare dal servizio con rapidità per seguire le condizioni metereologiche. Questa esigenza comporta notevoli investimenti per garantire le complicate capacità di regolazione necessarie. E’, infatti, improprio parlare di “accumulo in rete”. La rete non accumula: ad ogni potenza immessa deve corrispondere una pari riduzione della potenza erogata da altri generatori (per esempio produzione idroelettrica).

2ᵃ FORMA DI INCENTIVO: SGRAVIO FISCALE DEL 55%

Si tratta della forma di incentivo più gradita agli operatori del settore, che chiedono però maggiori certezze, sulla sua durata nel tempo allo scopo di prevedere e programmare gli investimenti e la produzione.

Negli anni in cui è stata applicata, ha dimostrato una notevole capacità di promuovere gli investimenti; molto più incerta invece è l’efficacia sulla reale capacità di produrre risparmio energetico.

I decreti attuativi non si sono espressi con la necessaria chiarezza: per funzionare, gli incentivi dovevano essere basati su una diagnosi energetica a risultato garantito dal professionista, che doveva indicare anche l’ordine con cui dovevano essere eseguiti gli interventi.

Occorreva chiarire che il primo intervento doveva essere la regolazione per singolo ambiente e la contabilizzazione del calore, che costituisce la necessaria predisposizione per ulteriori interventi di risparmio energetico, quali isolamento di strutture o sostituzione di vetri o serramenti. Sono stati invece sostituiti una grande quantità di serramenti ed isolati sottotetti in assenza di regolazione ambiente, provocando il surriscaldamento dei locali interessati e limitando fortemente il risparmio ottenibile con il rispetto di una procedura più corretta.

Si è trattato, di fatto, di una specie di “bancomat” al quale si poteva accedere con la compilazione di pochi elaborati, che descrivevano sommariamente l’intervento prescelto, con limitate garanzie di ottenimento dell’obiettivo, in termini di quantità del risparmio e con nessuna garanzia né prescrizione sulla quantità di energia risparmiata in rapporto al costo per lo stato in termini di sgravio fiscale.

A differenza del “conto energia”, che è pagato dai consumatori, lo sgravio fiscale pesa pesantemente sul bilancio dello stato in termini di riduzione delle entrate fiscali.
I difensori di questa forma d’incentivo minimizzano questi costi spiegando che le tasse non pagate dall’utente sono pagate in buona parte dall’operatore che esegue gli interventi in termini di IVA e di IRPEF perché costretto ad emettere fatture.

Si tratta a mio avviso di una giustificazione inaccettabile, che parte dal concetto di una evasione generalizzata, totale ed inevitabile.

Un paese che funziona deve assicurare che tutti i lavori siano fatturati, a tutela della legalità. Se, per ottenere il rispetto della legalità, lo stato deve rinunciare al 55 % del gettito fiscale, le sue prospettive di bilancio non sono certo promettenti. Inoltre l’incentivo fiscale non rimuove tutti gli ostacoli che si frappongono agli investimenti di risparmio energetico.

Se un condominio, pur caratterizzato da elevati consumi energetici, non ha proprio i soldi per realizzare le opere, lo sgravio fiscale non risolve i suoi problemi, tanto più se i condomini non hanno nemmeno la capienza da cui detrarre; e non si tratta di casi isolati.

Gli aspetti negativi sono particolarmente evidenziati, non per negare quanto di utile ha prodotto questa forma d’incentivo, ma perché esistono forme alternative, prive di costi, in grado di risolvere tutti i problemi citati.

3ᵃ FORMA DI INCENTIVO: IL FONDO ROTATIVO PER FINANZIARE GLI INTERVENTI AL 100%

Ne abbiamo già parlato più volte: a pag. 8 di Progetto 2000 n. 29 (dicembre 2005) avevamo formulato una proposta dettagliata. Riportiamo la parte introduttiva:

“Le prestazioni energetiche degli edifici di nuova costruzione sono state ben disciplinate dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192. Si tratta di un passo certamente importante, ma bisogna considerare che i nuovi edifici ed il relativo fabbisogno energetico si aggiungono a quelli esistenti: se saranno ben costruiti aggiungeranno poco al fabbisogno, ma aggiunge-ranno comunque. Gli impegni sottoscritti a Kyoto prevedono invece una sua progressiva riduzione.
Questo obiettivo potrà essere raggiunto solo riducendo il fabbisogno energetico degli edifici esistenti.
Questa riduzione è attuabile subito, in misura molto consistente, e senza costi reali: il meccanismo è già stato individuato, dimostrato e collaudato.
E’ possibile ridurre alla metà il consumo per riscaldamento delle nostre città, e ad un quarto le relative emissioni inquinanti, aumentando contemporaneamente il benessere degli occupanti, con interventi che si ripagano con il risparmio conseguito in un numero molto limitato di anni.
Non è pertanto ragionevole che si consenta ai proprietari disattenti di continuare a sprecare risorse ed a vivere meno bene di quanto potrebbero, per indifferenza o per ignoranza delle possibilità offerte dalle tecnologie oggi disponibili.”

Seguiva quindi la proposta di un possibile meccanismo di attuazione con l’esempio di un intervento tipo, facilmente ripetibile, e dei risultati conseguiti.

Ne abbiamo parlato ancora a pag. 17 dello stesso n. 29 e alle pagine 6 e 7 di Progetto 2000 n. 35. Abbiamo collaborato con la Regione Lombardia per la preparazione della Legge Regionale 21.12.2004 n. 39, che prevede, all’art. 10, un fondo rotativo che però, ci risulta, non sia funzionante.

La Regione Piemonte con il “Bando per la concessione di contributi in conto interessi ...” (L.R. 7 ottobre 2002 n. 23 e s.m.i.) ha reso disponibili fondi per il finanziamento degli interventi di risparmio energetico. Anche in questo caso, dopo una partenza lenta, probabilmente a causa della sua scarsa pubblicizzazione, si è di fatto bloccato, sembra per l’eccessiva burocrazia frapposta dalle banche, che non si sentono sufficientemente tutelate dal rapporto con il condominio.

Di fatto, nonostante le numerose proposte formulate in ogni sede nell’arco di oltre dieci anni, in Italia non è tuttora disponibile un fondo rotativo per finanziare gli interventi di risparmio energetico.

L’argomento è tuttavia di grande attualità, per cui vale la pena di provare a riparlarne.

A CHE COSA SERVE UN FONDO ROTATIVO?

Esistono in Italia decine di migliaia di edifici, condominiali e non, caratterizzati da consumi energetici molto elevati, corrispondenti alla classe G della classificazione nazionale di cui al DM 26 giugno 2009 (Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici).

Sulla base dell’esperienza, si può affermare che i consumi di questi edifici possono essere ridotti alla metà con opere che si ripagano entro i cinque anni. Per edifici di notevoli dimensioni il tempo di ritorno può ridursi fino ad una sola stagione di riscaldamento.

IN CHE COSA CONSISTE IL FONDO ROTATIVO?

Lo stato o le regioni dovrebbero costituire un fondo atto a finanziare al 100%, sotto forma di prestito, gli interventi di risparmio energetico che si ripagano entro 5 anni, partendo dai più energivori, caratterizzati da tempi di ritorno inferiori a tre anni. L’entità del fondo può essere gradualmente incrementata in base alle richieste fino a un massimo stabilito, che dipende dalla quantità di opere che si vogliono finanziare contemporaneamente.

Il prestito sarà restituito, comprensivo di interessi, senza esborsi reali da parte degli utenti, entro il tempo di ritorno dell’investimento, utilizzando il risparmio conseguito.

Da questo momento il fondo non dovrà essere ulteriormente incrementato perché sarà automaticamente alimentato dai rimborsi dei prestiti precedenti.

COME COSTITUIRE OGGI UN FONDO ROTATIVO?

Si potrà obiettare che questo non è il momento per costituire dei fondi: purtroppo è vero, occorreva farlo prima, invece di dissipare denaro nelle prime due forme di incentivazione sopra analizzate.

Tenuto conto dell’emergenza, si potrà istituire un conto energia per un tempo limitato di due o tre anni, attingendo per esempio dal prezzo del gas. Un centesimo di Euro per ognuno degli 83 miliardi di m³ di gas consumati in Italia ogni anno consentirebbe di creare un fondo di 830 milioni di Euro ogni anno.

Considerando il condominio medio di 35 appartamenti ed una spesa di 50.000,00 Euro per la sua riqualificazione energetica, si potrebbero riqualificare oltre 16.000 edifici già il primo anno, con un risparmio economico cautelativo di circa 270.000.000 milioni di Euro. Con due centesimi la quantità raddoppierebbe, ma occorre verificare che esista una sufficiente capacità progettuale e produttiva capace di utilizzarli.

E’ bene però notare che si tratta di un provvedimento strutturale che produrrà effetti espansivi duraturi sul mercato.

CHI PAGA QUINDI GLI INTERVENTI?

Il meccanismo del fondo rotativo non pone alcun onere a carico dello stato e neppure a carico dei cittadini. Gli interventi sono pagati dal risparmio conseguito.

Anche il fondo, una volta svolto il suo ruolo, potrebbe essere restituito ai consumatori di gas, anche se sembra improbabile aspettarsi una tale correttezza da parte dello stato.

COME INDIVIDUARE GLI INTERVENTI PIÙ CONVENIENTI

Per la migliore efficacia dell’azione proposta occorrerebbe redigere un catasto regionale degli impianti esistenti che contenga almeno i seguenti dati fondamentali:

  • consumo di combustibile e di energia elettrica dell’impianto termico;
  • superficie calpestabile riscaldata (o volume riscaldato, per le destinazioni d’uso diverse da quelle residenziali);
  • rapporto di forma S/V dell’edificio.(*)

(*) Per gli edifici condominiali riscaldati con impianti unifamiliari a gas i dati di cui sopra possono riferirsi al singolo appartamento, come pure all’intero edificio, a seconda delle opere che si prevedono di eseguire (interne all’appartamento o interessanti le parti comuni).

Questi dati consentono di effettuare la classificazione energetica preliminare (operational rating) che, mediante raffronto con il riferimento costituito da EP2010, fornisce indicazioni sui margini di miglioramento esistenti. 

Se la classificazione preliminare ne conferma la convenienza bisogna allora ricorrere ad una diagnosi “di qualità”. La diagnosi di qualità deve analizzare i possibili interventi di riqualificazione energetica, calcolarne il risparmio ottenibile ed i tempi di ritorno dell’investimento. La diagnosi può essere definita di qualità quando i risultati sono garantiti entro tolleranze sufficientemente ristrette dal tecnico esecutore.

PER INTERVENTI CON TEMPI DI RITORNO SUPERIORE AI 5 O PIÙ ANNI COSA SI PUÒ FARE?

Non mi sembra il caso di pensare alle cose difficili quando non sono state ancora affrontate le cose più facili. In linea di principio il fondo potrebbe finanziare anche opere con tempi di ritorno più lunghi. Dipenderà fino a quali cifre si vorrà spingere l’entità del risparmio. Una volta eseguiti gli interventi più convenienti, ad alta redditività, solo allora si potrà pensare a forme di incentivo economico che possano abbreviare i tempi di ritorno più lunghi. Si tratta tuttavia di decisioni che competono al potere politico.

RIASSUMENDO, QUALI SAREBBERO I MAGGIORI VANTAGGI?

Si ricordano quelli già riportati a pag. 7 del n. 35 di Progetto 2000:

  1. L’individuazione delle opere di risanamento termico degli edifici più energivori ed il loro finanziamento al 100% risolverebbero ogni problema economico per gli utenti e potrebbero aprire in tutto il paese molte migliaia di cantieri per opere edili ed impiantistiche finanziate dal risparmio energetico.
    Si tratterebbe di investimenti ad alta redditività che potrebbero essere eseguiti, almeno per i primi 10 anni, senza ricorrere ad incentivi fiscali o di altro tipo, data la loro grande convenienza.
  2. Ne deriverebbero notevoli benefici per l’economia, particolarmente importanti nella attuale congiuntura di grave crisi, così riassumibili:
    • aumento dell’occupazione, nei cantieri di riqualificazione e nelle aziende produttrici di componenti;
    • aumento della produzione nelle aziende fabbricanti di componenti impiantistici, di componenti per l’isolamento termico ed edili;
    • maggiori introiti fiscali, per l’eliminazione degli incentivi, con il contemporaneo aumento del gettito per IVA ed IRPEF (anche gli utenti più indigenti possono realizzare le opere, che sono prive di costi reali);
    • le maggiori disponibilità finanziarie immediate, conseguenti all’aumento dell’occupazione, e quelle differite di qualche anno, derivanti dal minor consumo di combustibile, soggette a continuo incremento, favoriranno i consumi, a beneficio della produzione industriale anche nei settori non direttamente coinvolti.

E GLI SVANTAGGI?

Sono certamente difficili da individuare. Con qualche sforzo si possono elencare:

  • un risparmio di combustibile veramente consistente, con progressiva riduzione delle entrate per accise sui prodotti petroliferi, a nostro avviso largamente compensate dai maggiori introiti dovuti all’espansione della produzione;
  • una riduzione del fatturato dei distributori di energia (anche se è improprio elencare come svantaggio il raggiungimento dell’obiettivo perseguito);
  • una riduzione del mercato del fotovoltaico, che non deve essere troppo accentuata per tenere conto di chi ha legittimamente investito nel settore in forza di leggi vigenti.

CONCLUSIONI

Se si analizzano le forme di incentivo finora utilizzate e si confrontano con quelle più efficaci da più parti proposte e mai utilizzate, si deve constatare che la scelta è sempre caduta sulle forme di incentivo più costose e meno efficaci per il perseguimento di un reale risparmio energetico.

Poiché non è lecito pensare che i nostri governanti, italiani ed europei, siano così sprovveduti da non comprendere concetti così elementari, si deve concludere che sono eccessivamente flessibili ai poteri delle lobby di chi ha interesse a creare business senza ridurre troppo i consumi di combustibili fossili.

L’Europa delle lobbies non è una novità, ma le innegabili influenze di questi comportamenti sull’attuale crisi senza precedenti, rende questo stato di cose non più tollerabile: non si può infatti chiedere sacrifici per risanare un dissesto, senza eliminare le cause che hanno contribuito a provocarlo.

Pubblicato il: 31/12/2011
Autore: F. Soma