I guasti del D.Lgs. 141/2016

I guasti del D.Lgs. 141/2016

Un avvocato, amico degno di stima, mi ha insegnato che “non è giusto quel che è giusto, ma è giusto quel che è legge”. Ho acquisito l’ottimo insegnamento, ma mi si consenta almeno di lamentarmi quando le leggi sono perverse ed incomprensibili.

Mi riferisco, in particolare, all’art. 9, comma 5, lettera d) del D.Lgs. 4 luglio 2014 n. 102, come integrato dal D.Lgs. 18 luglio 2016, n. 141. Questo decreto è stato emanato per rispondere alle richieste di una procedura di infrazione della Commissione Europea per incompleto recepimento della Direttiva 2012/27/UE.

Va però precisato che nella nutrita serie di lacune contestate dalla Commissione, non figurava alcuna richiesta riguardante il citato comma d), che avrebbe quindi dovuto (o potuto) rimanere com’era.

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I   Com’era inizialmente

Il testo originario così recitava:

...”d) quando i condomini sono alimentati dal teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento degli appartamenti e delle aree comuni, qualora le scale e i corridoi siano dotati di radiatori, e all’uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se prodotta in modo centralizzato, l’importo complessivo deve essere suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto, secondo quanto previsto dalla norma tecnica UNI 10200 e successivi aggiornamenti. E’ fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà. ...

La disposizione di legge, vista l’occasione del D.Lgs. 141/16, poteva essere migliorata semplicemente sopprimendo le due frasi evidenziate: la prima perché inutile e la seconda perché priva di vantaggi e tale da vanificare l’utilità della contabilizzazione per un anno.

I problemi non sono mancati, ma non sono attribuibili al legislatore, bensì all’UNI che aveva a suo tempo rifiutato di pubblicare un “errata corrige”, richiesto dai Consigli Nazionali degli Ingegneri e dei Periti Industriali, nonché dalla larga maggioranza dei componenti del CT 271, per emendare alcuni refusi dovuti a malintesi nel CT 271 e per fornire alcune precisazioni necessarie per assicurare una interpretazione univoca di alcune disposizioni.

Le conseguenze di questo rifiuto, accompagnato dalla messa in revisione della norma, sono state gravi perché si sono innestate, da parte di una minoranza, contestazioni per un presunto contrasto con la norma UNI EN 834.

Questo “presunto contrasto” se pure non condiviso dalla stragrande maggioranza del CT 271, ha indotto l’UNI, con decisione unilaterale, a pubblicare l’edizione 2015 della norma UNI 10200, con qualche peggioramento e senza la correzione degli errori segnalati (edizione tutt’ora vigente).

Questa situazione, che si trascina da oltre due anni, ha generato gravi incertezze, tanto nei condomini che nei loro consulenti che sono stati posti di fronte al dilemma: sbagliare secondo le indicazioni della norma o agire correttamente senza rispettare la norma. Un dilemma esplosivo in grado di generare una quantità inimmaginabile di contenziosi.

La norma non è ancora uscita dalla revisione; staremo a vedere se prevarranno le posizioni più ragionevoli (coerenti con la legislazione vigente) o quelle dei furbi (che vedono solo il loro interesse) o degli incompetenti (che sentenziano senza conoscere i fenomeni fisici che sono alla base dello scambio termico dei corpi scaldanti).

Infine è uscito il D.Lgs. 141/16 che ha così modificato il comma d) del D.Lgs. 102/2014:

... “d) quando i condomini o gli edifici polifunzionali sono alimentati da teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, il raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni, nonché per l’uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se prodotta in modo centralizzato, l’importo complessivo è suddiviso tra gli utenti finali, in base alla norma tecnica UNI 10200 e successive modifiche e aggiornamenti.
Ove tale norma non sia applicabile o laddove siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, è possibile suddividere l’importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica. In tal caso gli importi rimanenti possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate.
È fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà.
Le disposizioni di cui alla presente lettera sono facoltative nei condomini o gli edifici polifunzionali ove alla data di entrata in vigore del presente decreto si sia già provveduto all’installazione dei dispositivi di cui al presente comma e si sia già provveduto alla relativa suddivisione delle spese.”
...

Come si può constatare, a fronte di un lieve miglioramento (l’eliminazione della prima frase, ma non della seconda) è stato introdotto un incomprensibile e grave peggioramento.

Se l’articolo si fosse limitato al primo capoverso, sarebbe stato perfetto. Il secondo capoverso non ha invece nè capo nè coda, potendo determinare situazioni aberranti. Cerchiamo di capire, con qualche ipotesi, che scopo potrebbe aver avuto il legislatore.

  1. Problema preliminare: va chiarito che la norma UNI 10200 è sempre applicabile, salvo che non sia applicabile la stessa contabilizzazione.
    La condizione per non applicare la norma UNI 10200 è quindi solo la differenza maggiore del 50% fra i fabbisogni per unità di superficie delle diverse unità abitative.
    Non viene però precisata la quantità alla quale si riferisce il 50%: la minima, la massima o la media.
    La lacuna non è trascurabile, visto che viene richiesta una perizia asseverata; una perizia asseverata basata su incertezze è davvero una contraddizione. Si potrebbe consigliare la media, ma la critica fondamentalmente rimane.
  2. L’ipotesi più accreditata è che il legislatore volesse agevolare gli utenti delle unità abitative contraddistinte da elevati fabbisogni. Se così fosse, l’obiettivo sarebbe del tutto mancato.
    Potrebbe infatti accadere che l’assemblea, ove optasse per il criterio alternativo alla norma UNI 10200, decida anche di elevare la quota fissa al 90% o addirittura al 100% (minimo 70% a consumo). In tal modo gli utenti più sfavoriti verrebbero ulteriormente penalizzati. Scegliendo il 100% a consumo sarebbe addirittura annullata la spesa fissa ed i relativi millesimi.
    L’iniquità è palese, se si considera che in determinati impianti la spesa fissa potrebbe raggiungere ed anche superare il 50%. La norma UNI 10200 consentirebbe invece di calcolarla nella sua corretta dimensione.
    Negli edifici ad abitazione non continuativa potrebbe addirittura avvicinarsi al 100%. Anche in questo caso la norma UNI 10200 corretta consentirebbe la soluzione equa.
  3. Una seconda ipotesi è che il legislatore abbia voluto semplificare il calcolo dei millesimi, adottando quelli esistenti qualunque essi siano: superficie, volume, proprietà ecc. I “millesimi di fabbisogno” richiesti dalla norma UNI 10200 avrebbero richiesto il calcolo dei fabbisogni di ogni singola unità abitativa.
    Se lo scopo era quello di ridurre i costi anche in questo caso l’obiettivo è completamente mancato: i fabbisogni vanno comunque calcolati per rilevare l’eventuale differenza del 50%, ai quali si aggiunge però il costo della perizia asseverata.
    Va aggiunto che, in relazione al diverso scopo (differenza di fabbisogno e non millesimi), il calcolo diventa notevolmente più complesso e costoso perché deve riferirsi alla situazione attuale, comprensiva delle opere eseguite su parti private, richiedendo perciò l’accesso e l’esame di ogni singola unità immobiliare.
    Che dire poi del caso in cui la differenza superiore al 50% sia dovuta ad un condomino virtuoso che ha ulteriormente isolato il proprio alloggio già favorito?
    In ogni caso il calcolo del fabbisogno non andrebbe ostacolato perché è alla base della diagnosi, necessaria per individuare eventuali opere di risparmio energetico, che sono il miglior complemento delle opere di regolazione e contabilizzazione del calore. La norma UNI 10200 usa i fabbisogni anche per la predisposizione del “prospetto previsionale” che fornisce all’utente un “preventivo” di spesa per un uso “normale” del riscaldamento con il quale confrontare il suo comportamento.
  4. E’ vero che i millesimi di superficie, o di volume, o di proprietà attenuano le differenze fra i vari utenti, essendo indipendenti dal fabbisogno, ma sono in contrasto con la Legge 10/91, con la Direttiva, e con il Codice Civile che prescrivono una ripartizione dei costi in base ai consumi, ove misurabili, ed una ripartizione di quelli non misurabili (spesa per potenza impegnata) in base all’uso potenziale (rappresentato dal fabbisogno).
    E’ chiaro che nessuna delle possibilità indicate “a titolo esemplificativo e non esaustivo” rappresenta l’uso potenziale.
    Va chiarito che, tuttavia, il metodo alternativo è legale perché consentito da un Decreto Legislativo: legale, ma non elegante, perché in contrasto con leggi inderogabili.
    Se non si volevano creare differenze fra gli utenti bastava non imporre la contabilizzazione, ma la contabilizzazione è stata imposta per motivi più che validi, salvo vanificarla con le nuove disposizioni che affidano le misure all’assemblea anziché ai contatori di calore e la ripartizione a criteri improvvisati ed in contrasto con la legislazione vigente.
    Un insieme di norme di legge e di norme tecniche è chiaro e comprensibile quando è coerente. La coerenza riduce il contenzioso, l’incoerenza lo aumenta.
  5. Le condizioni che consentono di utilizzare il metodo alternativo in luogo della norma UNI 10200 si verificano normalmente per il solo riscaldamento; ciò significa quindi che per la ripartizione delle spese relative ad altri servizi, quali il raffrescamento o l’ACS, rimane obbligatorio l’uso della norma UNI 10200 con notevoli complicazioni di coordinamento.

II   La norma UNI 10200

La norma UNI 10200, corretti gli errori contenuti, condivisi e da tempo segnalati, è una norma coerente con la legislazione vigente.

E’ stata elaborata e continuamente perfezionata in oltre venti anni da un gruppo di lavoro provvisto di tutte le competenze, tecniche e legali, che ha discusso e risolto a larghissima maggioranza tutti gli aspetti spesso controversi della ripartizione delle spese di climatizzazione.

Un punto fondamentale che rende tale norma coerente è il paragrafo 4 del punto 11, che prescrive: “I risultati della ripartizione delle spese, se ottenuti con dispositivi che non sono in grado di misurare l’energia effettivamente assorbita, ma forniscono un certo numero di unità di ripartizione o scatti (contabilizzazione indiretta), non devono differire in modo significativo da quelli che potrebbero essere ottenuti con contatori di calore (contabilizzazione diretta).

La norma fornisce quindi tutte le istruzioni perché questo possa avvenire, consentendo di utilizzare tanto la contabilizzazione diretta che quella indiretta, per una ripartizione sempre proporzionale al consumo.

Senza seguire attentamente la norma si possono commettere errori molto gravi nella valutazione del consumo volontario; in particolare si possono compiere errori gravissimi utilizzando in modo disinvolto le rese termiche dei corpi scaldanti prese da cataloghi inaffidabili (vedi articolo “Errori frequenti nella contabilizzazione del calore” - Progetto 2000 n. 49 - Dicembre 2015).

E’ quindi il caso di notare che il metodo alternativo alla norma UNI 10200, di cui la legge tanto si preoccupa, si utilizza per ripartire a millesimi solo il consumo involontario, che rappresenta una modesta parte del totale. La cifra maggiore è rappresentata dal consumo volontario sul quale, esentando dall’applicazione della norma UNI 10200, si consentono gli errori più gravi e le maggiori iniquità.

Sono però contenti gli inesperti che, con la “licenza di sbagliare” conferita loro dal D.Lgs. 102/16 (integrato) possono fare di tutto; tanto, gli errori e le iniquità li pagano gli utenti.

III   Conclusione

Si auspica che un successivo provvedimento legislativo cancelli la frase dannosa e priva di senso sopra segnalata, sostituendola eventualmente con un obbligo di isolamento a carico del condominio delle parti comuni responsabili delle eccessive differenze di fabbisogno, in modo da contenerle entro il limite del 50% del valore medio, prevedendo eventuali incentivi o, meglio, fornendo le risorse attraverso un fondo rotativo, privo di costi per lo stato e per i cittadini.

Ove questo non avvenga, i tecnici più evoluti e capaci non utilizzino l’alternativa, ma continuino ad applicare la norma UNI 10200 in ogni caso, a garanzia dell’equità della ripartizione, in coerenza con tutta la legislazione vigente.

Pubblicato il: 31/12/2016
Autore: F. Soma