I millesimi di riscaldamento ed acqua calda sanitaria e la programmazione dei ripartitori di calore

I millesimi di riscaldamento ed acqua calda sanitaria e la programmazione dei ripartitori di calore

L’applicazione pratica della norma UNI 10200 ha evidenziato alcune problematiche che vanno urgentemente risolte.

Una di queste è la determinazione dei millesimi di riscaldamento ed acqua calda sanitaria, necessaria per ripartire fra i condomini le spese per i consumi involontari, l’esercizio, la conduzione, la manutenzione ordinaria e l’esecuzione della contabilizzazione stessa.

Un approfondimento ed una proposta sono necessari in quanto si sono già diffuse opinioni diverse.

Purtroppo si tratta di materia altamente suscettibile di generare contenzioso e non ci sono indicazioni esplicite e specifiche per il caso. Quello che leggerete nel seguito è quindi spesso solo l’opinione del sottoscritto.

Alcuni concetti sono pacifici (ripartizione del consumo volontario a consumo, senza correzione alcuna) per altri rimane invece un margine di dubbio (riferimento per il calcolo dei millesimi di riscaldamento).

Non esiste infatti nel merito, alcun provvedimento, legge o norma, che affronti la questione in modo esplicito ed organico. Anzi, la legge è spesso poco chiara (per non dir di peggio) e la magistratura, che ha l’ultima parola in ogni caso, lo fa solo dopo che la gente ha litigato (senza una causa non si giudica) ed emette le sentenze quando le leggi sono già cambiate: un decennio per arrivare a sentenza definitiva è “normale” (in un paese decisamente anomalo da questo punto di vista).

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1. Il criterio generale di ripartizione dei costi

In generale, quando vi è una spesa del condominio, ciascun condomino ne paga una quota in ragione dei suoi “millesimi”.

Una “tabella millesimale” è l’elenco dei millesimi di ciascun condomino da utilizzarsi per ripartire fra i condomini un certo tipo di spesa, che è l’oggetto della ripartizione.

Per calcolare i “millesimi” (compilare una tabella millesimale) da utilizzare per un determinato tipo di spesa (oggetto della ripartizione), occorre decidere quale grandezza quantificare per ciascuna singola unità immobiliare.

I millesimi di ciascuna unità immobiliare saranno dati dal rapporto fra il valore relativo alla singola unità immobiliare e la somma dei valori ottenuti per tutte le unità immobiliari. La grandezza valutata per ogni singola unità immobiliare è il cosiddetto “criterio di ripartizione”. Il criterio di ripartizione è quindi definito quando è identificata la grandezza da valutare.

Una tabella millesimale ha quindi due colonne:

  • nella prima colonna occorre indicare un valore relativo all’appartamento (quantificazione del criterio);
  • nella seconda si costruiscono i rapporti millesimali.

Fatti salvi casi “speciali”, il “criterio di ripartizione” principe è il “valore (economico) della proprietà." L’art. 1123 CC, comma 1, recita infatti:

"Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione."

I millesimi ottenuti si applicano ad una miriade di spese da ripartire (oggetti della ripartizione) come il taglio dell’erba del giardino condominiale, la tinteggiatura dell’androne, ecc.

Ciò che viene valutato per stabilire i millesimi (il criterio di ripartizione) è diverso ed indipendente da quello che viene ripartito (l’oggetto della ripartizione) e da quale sia la ripartizione effettiva dell’oggetto (ossia se l’oggetto della ripartizione si distribuisce fra le unità immobiliari realmente nelle proporzioni identificate dal criterio di ripartizione) poiché il criterio di ripartizione è spesso convenzionale e la misura della ripartizione effettiva sarebbe improponibile o del tutto inesistente: ciò che viene ripartito in base al “valore della proprietà” non è il valore della proprietà stessa ma qualcos’altro.

Ad esempio, se l’oggetto della ripartizione è la potatura degli alberi del giardino condominiale, la potatura di un determinato albero non può certo essere riferita ad una determinata proprietà. Per attribuire il costo della potatura si determinano i valori delle proprietà che costituiscono il condominio. Chi possiede una parte più grande del condominio contribuisce con quota maggiore alla spesa della potatura.

Da questo ragionamento discende una conseguenza: ciò che potrebbe eventualmente far scattare una variazione della tabella millesimale è la variazione dei valori assunti come criterio, non certo la variazione del valore dell’oggetto della ripartizione.

2. I criteri “speciali” di ripartizione dei costi

Per alcune tipologie di spese condominiali il codice civile stabilisce dei criteri “speciali” ovvero dedicati alla ripartizione delle spese relative ad un “oggetto della ripartizione” ben definito.

Per esempio l’art. 1124 CC prevede che la ripartizione delle spese per gli ascensori e per le scale si faccia per metà sulla base del valore della proprietà e per metà sulla base dell’altezza dell’appartamento:

"Le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo".

Un altro criterio generale è quello espresso nell’art. 1123 CC, comma 2, nel caso di cose destinate a servire i condomini in maniera diversa:

“…Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne…"

Questi articoli riconoscono che, se si può identificare una relazione esplicita fra l’oggetto della ripartizione e le singole unità immobiliari (c’è una relazione oggettiva per cui è quantificabile cosa ne viene a ciascuno del bene o servizio comune il cui costo deve essere ripartito), la ripartizione ne deve tenere conto, anzi ne diventa il fondamento.

Lo stesso criterio di ripartizione delle spese relative a scale ed ascensori espresso all’art. 1124 CC, può benissimo essere inteso come un’applicazione del principio generale espresso nel precedente art. 1123 CC, comma 2, in quanto è identificabile univocamente una relazione fra la dimensione dell’appartamento e l’uso di scale ed ascensori nonché sulla quantità di scale da percorrere (o la corsa in ascensore necessaria) in funzione della posizione dell’appartamento:

  • un appartamento di valore maggiore sarà presumibilmente più grande, per cui saranno più persone ad usare l’ascensore;
  • per recarsi in un appartamento più in alto occorre percorrere più scale o far fare una corsa maggiore all’ascensore, da qui il parametro altezza.

Si noti che si deve far riferimento ad indicatori oggettivi di utilizzo. A nulla vale sostenere:

  • “io passo sempre dalle scale quindi non pago la manutenzione ordinaria dell’ascensore perché non lo uso”,
  • “io salto dalla finestra, non passo mai dalle scale, quindi non ne pago la manutenzione”;

in quanto si tratta di fatti soggettivi. Ciò è stato ribadito da sentenze di cassazione.

3. La ripartizione dei costi di riscaldamento

3.1 Prima della contabilizzazione obbligatoria…

Prima del D.Lgs. 102/14 e della Legge 10/91, la ripartizione dei costi di riscaldamento ed acqua calda sanitaria era regolata dal codice civile.

Trovava applicazione l’art. 1123, comma 2, in quanto non tutti i condomini usufruiscono del servizio riscaldamento od acqua calda sanitaria in maniera uguale. Occorre quindi identificare il “criterio”.

A mio avviso il servizio riscaldamento è dato dal calore erogato dall’impianto nell’unità immobiliare di ciascun condomino. L’impianto centralizzato fornisce il servizio che altrimenti dovrebbe essere soddisfatto con un impianto autonomo: comprare combustibile, bruciarlo per liberare il calore di combustione ed immettere calore nell’edificio da riscaldare o nell’acqua calda sanitaria da preparare.

In passato quasi tutti gli impianti centralizzati erano del tipo a colonne montanti comandati da un sistema di compensazione climatica. In questi impianti tutti i radiatori sono sempre alla medesima temperatura e quindi il calore ricevuto (cioè il servizio goduto) da ciascun condomino è proporzionale alla potenza complessiva dei suoi corpi scaldanti.

Erano quindi corrette le ripartizioni basate sulle “superfici radianti”, equivalente della potenza dei radiatori, quando questi si vendevano “a metro quadro”.

Le ripartizioni fondate sulla superficie o sul volume riscaldato dell’alloggio non sono invece conformi ma erano comunque legittime in quanto le prescrizioni del codice civile sul riparto dei costi possono essere superate da un accordo (contratto) fra le parti.

In quanto mero rapporto fra privati, le disposizioni dell’articolo 1123 del CC sono derogabili. Ciò avveniva sovente con i cosiddetti “regolamenti contrattuali” ove si trovava spesso indicato il criterio di riparto delle spese di riscaldamento.

3.2 La Legge 10/91

Le cose iniziano a cambiare con la Legge 10/91, che concede maggioranze ridotte per deliberare l’introduzione della contabilizzazione e del conseguente criterio di riparto in base ai consumi effettivi.

Esattamente come il D.Lgs. 102/14, la Legge 10/91 aveva come finalità il contenimento dei consumi energetici per limitare le emissioni inquinanti. Anche la legge 10/91 aveva individuato nella contabilizzazione dei consumi individuali e nell’applicazione di uno specifico criterio di riparto (in base ai consumi effettivi) un mezzo efficace per la riduzione dei consumi e quindi ne facilitava l’adozione con un quorum ridotto.

La legge 10/91, finalizzata alla riduzione dell’inquinamento dà però un valore imperativo al criterio di ripartizione da adottare per accedere al quorum ridotto.

Poco dopo La legge 10/91, la Direttiva SAVE introdusse l’obbligo della contabilizzazione individuale dei consumi, da applicarsi entro il 1994. Allora però non si usavano le procedure di infrazione.

3.3 La Direttiva 2012/27 ed il D.Lgs. 102/14

La Direttiva ha riproposto l’obbligo di fatturazione individuale delle spese di riscaldamento, acqua calda sanitaria e raffrescamento in base ai consumi effettivi della Direttiva SAVE, con un nuovo termine.

Il D.Lgs. 102/14 di recepimento ha così imposto un criterio speciale per la ripartizione dei costi per riscaldamento, acqua calda sanitaria e raffrescamento e gli ha dato valore imperativo date le sue finalità. Ce lo ricorda l’incipit dell’articolo 9, comma 5:

“Per favorire il contenimento dei consumi energetici attraverso la contabilizzazione…”.

Il D.Lgs. 102/14 non si occupa della ripartizione dei costi del servizio riscaldamento ed acqua calda sanitaria in quanto ripartizione di onere fra privati, ma come strumento per la finalità generale di ridurre i consumi energetici e le emissioni inquinanti, contribuendo alla salvaguardia dell’ambiente.

In merito al criterio da adottare, il D.Lgs. 102/14  ha stabilito che le spese siano ripartite in base agli “effettivi prelievi volontari di energia utile”. Questa è la parte apparentemente “difficile”, in realtà concettualmente facile. Il calore effettivo che ciascun utente preleva dall’impianto, agendo tramite i dispositivi di regolazione (termostato o valvole termostatiche), deve essere pagato  a consumo.

Ciò significa almeno tre cose:

  1. ciò che si paga è il prelievo di calore dall’impianto. Dove vada a finire questo calore (all’esterno, dal vicino, ecc.), perché ci vada ed in quale modo non ha alcuna importanza. Non esiste quindi il cosiddetto “furto di calore” qualora un condomino tenga una temperatura inferiore a quella del vicino: si tratta, caso mai, di “trasferimenti a titolo gratuito involontari”. Paradossalmente (mica tanto…), se un condomino chiude tutti i suoi corpi scaldanti e gli basta il calore proveniente dagli appartamenti vicini, la legge ha ottenuto il 100% dell’effetto voluto. Nessuno potrà imporgli di tenere una temperatura minima nel suo alloggio, imposizione che sarebbe esattamente contraria al comportamento deliberatamente incoraggiato  da questa legge (sono fatte salve le esigenze di prevenire danni strutturali, ad esempio il gelo).
    L’unico provvedimento ammesso (meglio, voluto dalla legge) per limitare questi “trasferimenti indesiderati” è la coibentazione delle superfici attraverso le quali il calore prelevato si disperde.
  2. Non sono ammessi coefficienti correttivi per tenere conto di caratteristiche specifiche dell’unità immobiliare (esposizione, superfici disperdenti maggiori come soffitti o pavimenti su pilotis), altrimenti non si tratta più di fatturazione in base ai consumi effettivi.
  3. Non è ammesso stabilire arbitrariamente la quota di consumo involontario, altrimenti si altera il fatto di pagare a consumo il prelievo effettivo.
    La quota di consumo involontario dovrà quindi essere individuata con le migliori tecniche disponibili.

La difficoltà pratica che ne risulta è la misura, per quanto possibile precisa, del prelievo volontario in caso di contabilizzazione indiretta.

La parte apparentemente facile è la ripartizione dei consumi involontari, una volta noti. Apparentemente facile, perché è facile applicare dei millesimi: la determinazione del consumo involontario, ma anche degli stessi millesimi, riserva alcune sorprese e difficoltà impreviste.

4. I millesimi di riscaldamento ed acqua calda sanitaria

4.1 I millesimi di riscaldamento secondo la norma UNI 10200

Come già illustrato, nelle ripartizioni c’è un “oggetto” ed un “criterio”.

L’oggetto della ripartizione a millesimi di riscaldamento o di acqua calda sanitaria, sono il costo del consumo involontario, le spese per l’esercizio, la conduzione e la manutenzione ordinaria. Si noti che non sono solo le dispersioni di rete oggetto di ripartizione a millesimi.

Il criterio è l’uso potenziale oggettivo del servizio riscaldamento. Nel caso del riscaldamento, l’uso dell’impianto è l’immissione di calore nella singola unità immobiliare.

In assenza di sistemi di regolazione (per esempio in presenza di mera compensazione climatica), tutti i radiatori sono alla medesima temperatura, l’uso potenziale è quindi proporzionale alla potenza dei corpi scaldanti presenti nell’unità immobiliare (le vecchie “superfici radianti”, ora potenze nominali dei radiatori).

In presenza di sistemi di termoregolazione, l’uso potenziale coincide con il fabbisogno di energia utile, in quanto la regolazione limiterà automaticamente l’erogazione di calore in modo che venga immesso nell’unità immobiliare, il calore necessario per raggiungere i 20 °C, temperatura massima consentita dalla legge. Un uso maggiore dell’impianto non è consentito.

Da queste considerazioni si vede che il criterio individuato dalla norma UNI 10200:2013 è perfettamente in linea con il criterio generale espresso dall’art. 1123 del CC.

4.2 Occorre rifare le tabelle millesimali?

In presenza di contabilizzazione individuale, vi è l’obbligo di ripartire la spese secondo quanto previsto dalla norma UNI 10200.

Il D.Lgs. non cita il consumo volontario e la seconda componente di spesa, la cosiddetta “quota fissa” o “spesa per potenza impegnata”. A seguito dell’installazione della contabilizzazione occorre quindi che le tabelle millesimali, in quanto parte del criterio di riparto, siano quelle definite dalla norma UNI 10200.

Anche nel caso di impianti di contabilizzazione pre-esistenti al D.Lgs. 102/14, occorre almeno adeguare il criterio di riparto, comprese le tabelle millesimali.

Qualsiasi regolamento contrattuale diverso diventa nullo in quanto contrario a legge imperativa vigente.

Diverso il caso dei condomini dove non si possa installare la contabilizzazione in quanto non sia tecnicamente fattibile, oppure non sia economicamente efficace. In tal caso viene meno la finalità principale della legge, che è quella di ridurre i consumi energetici per mezzo della contabilizzazione e dell’imposizione di uno specifico criterio di riparto.

In assenza di contabilizzazione individuale non è possibile pertanto utilizzare questo mezzo per perseguire il risparmio energetico e quindi decade anche l’esigenza del criterio di riparto specifico, idoneo a perseguire lo scopo del D.Lgs. 102/14. In questi condomini si potrà continuare con i criteri (millesimi) già in uso.

4.3 Stato attuale o stato iniziale

Il riferimento al fabbisogno di energia utile per il calcolo dei millesimi ha risolto alcuni problemi ma ne ha creati di nuovi. Alcuni non sono problemi, ma semplicemente fatti: unità immobiliari apparentemente identiche potrebbero avere fabbisogni di energia utile diversi, quindi millesimi diversi, in quanto hanno una diversa esposizione.

Se ci si debba riferire allo stato originario dell’edificio o allo stato corrente, nel calcolo del fabbisogno di energia utile per formare la tabella millesimale di un edificio dotato di impianto con termoregolazione, è un dilemma.

Su questo punto non ci sono indicazioni esplicite, occorre quindi ragionare. Dal momento che un impianto è dotato di sistema di regolazione, sembrerebbe che ci si debba riferire allo stato corrente: non appena si effettuano interventi che modificano il fabbisogno di energia utile l’impianto ne tiene conto e l’uso potenziale dell’edificio si adegua istantaneamente alla nuova configurazione.

Se ci ricordiamo i concetti di “oggetto della ripartizione” e “criterio di ripartizione”, il fabbisogno di energia utile è il criterio di ripartizione. Qualsiasi modifica dell’involucro edilizio, che alteri il fabbisogno di energia utile, cambia il criterio di ripartizione e genera una situazione in cui si dovrebbe adeguare la tabella millesimale.

Occorre ricordarsi però che esistono due tipologie di interventi:

  • quelli sulle parti comuni, decise dall’assemblea;
  • quelle sulle parti private, decise dai singoli condomini.

Degli interventi sulle parti comuni si terrà senz’altro conto. Vengono decisi dall’assemblea, con le dovute maggioranze e l’assemblea ne pagherà tutte le conseguenze, compresa l’alterazione dei fabbisogni di energia utile e la conseguente variazione dell’uso potenziale dell’impianto da parte dei singoli condomini, nonchè la necessaria rideterminazione della tabella millesimale.

Si noti che si tratta di interventi solitamente importanti (tipicamente: rifacimento del tetto o cappotto esterno) che comportano comunque una progettazione termotecnica nell’ambito della quale, d’ora in poi, verranno anche aggiornate le tabelle millesimali di riscaldamento.

Non appare invece corretto tener conto “d’ufficio” di interventi su parti private (ad esempio, il cambio di una finestra) decise dai singoli condomini; scelte di questo tipo implicano due considerazioni:

  • una decisione ed azione autonoma di un condomino porterebbe ad una riduzione della sua spesa e quindi ad un aumento di quella degli altri;
  • per analogia, l’art. 68 stabilisce che, nella determinazione del valore dell’unità immobiliare ai fini della formazione della tabella millesimale, non si tenga conto delle eventuali migliorie.

D’altra parte esiste anche l’art. 69 che prevede che, qualora il valore della proprietà in conseguenza di migliorie, cambi di oltre il 20% (un quinto), il condomino ha il diritto di chiedere la revisione della tabella millesimale. Per analogia, se il condomino, con interventi sulle parti private della sua unità immobiliare (sostituzione di serramenti, isolamenti dall’interno o in intercapedine), ottiene una riduzione del fabbisogno pari o superiore al 20% ha diritto a chiedere la revisione della tabella millesimale. Sarà lui a dover portare la prova della riduzione e sostenere le spese per l’aggiornamento della tabella millesimale.

Tenuto conto di tutto ciò, si consiglia di procedere nel seguente modo:

  1. si parte dallo stato identificabile più prossimo possibile a quello iniziale, ovvero, quando è stato installato l’impianto di riscaldamento (anche se lo stato iniziale di un palazzo di duecento anni non è facilmente identificabile...). Si possono ragionevolmente ipotizzare caratteristiche inziali uniformi in tutte le unità immobiliari, pari a quelle più vetuste riscontrate nello stato corrente;
  2. si deve tener conto di tutti gli interventi eseguiti su parti comuni, decisi dall’assemblea, ottenendo così uno stato “di riferimento” dell’edificio, così come determinato dalla volontà dell’assemblea;
  3. se vengono eseguiti nuovi interventi sulle parti comuni, si aggiorna la tabella millesimale e si determina un nuovo stato di riferimento del condominio;
  4. partendo dallo stato di riferimento del condominio, ogni condomino che abbia fatto interventi sufficienti sulle parti private di sua proprietà può, a sua cura e spese, dimostrare di aver ridotto il suo fabbisogno di più del 20%, far preparare una nuova tabella millesimale ad un tecnico e chiederne l’adozione da parte dell’assemblea. Questa diventa naturalmente il nuovo stato di riferimento del condominio.

Questa soluzione sembra un’applicazione plausibile ed equilibrata dei principi normalmente seguiti per la ripartizione delle spese e previene comunque eccessive variabilità e frequenti modifiche delle tabelle millesimali.

4.4 Uffici e negozi

Un problema specifico è dato da uffici e negozi, che spesso sono presenti nell’ambito di edifici prevalentemente residenziali. Gli esempi tipici sono negozi al piano terra oppure studi professionali insediati in unità immobiliari precedentemente destinate ad uso residenziale.

Il problema nasce dall’utilizzo dell’energia utile calcolata con le norme UNI-TS 11300 parti 1 e 2, usata come base per il calcolo dei millesimi. Nel caso degli usi non residenziali i fabbisogni per acqua calda sanitaria e per riscaldamento (in conseguenza dei diversi requisiti di ventilazione) possono variare moltissimo in dipendenza del tipo di negozio.

Basti pensare al caso di un negozio di abbigliamento, con usi molto bassi di acqua calda sanitaria e ventilazione, che venga sostituto da un negozio di parrucchiera, che invece consumerà moltissima acqua calda sanitaria. Oppure un ufficio in un ambito normalmente residenziale, che ha fabbisogni di acqua calda sanitaria minimi e fabbisogni di ventilazione più elevati rispetto alle unità immobiliari residenziali.

Alla luce dei ragionamenti svolti, dovrebbe essere applicato il criterio del 20%. La modifica di destinazione d’uso od il cambio di tipologia di negozio è un atto unilaterale del singolo condomino.

Se tale cambiamento produce una variazione dei millesimi di più del 20%, potrà essere richiesto l’aggiornamento della tabella millesimale.

Questa considerazione va fatta indipendentemente per riscaldamento e per l'acqua calda sanitaria.

A seconda dei casi potrebbe essere il singolo condomino oppure il (resto del) condominio ad aver interesse a “ritoccare” la tabella millesimale:

  • se un appartamento a destinazione residenziale passa ad uso ufficio, si riducono i fabbisogni di acqua calda sanitaria: è il condomino che dovrà dimostrare che il suo uso standard si è fortemente ridotto;
  • se al posto del negozio di ferramenta arriva la parrucchiera, con fabbisogni per acqua calda sanitaria molto elevati, sarà il condominio a rivedere la tabella millesimale, in conseguenza del maggior uso presunto dell’impianto dell’acqua calda sanitaria.

5. Ripartitori “in chiaro” o “in scuro”?

Continua il nostro impegno per ottenere due obiettivi a lungo termine:

  • la programmazione obbligatoria dei parametri dei ripartitori, in modo che le UR visualizzate siano tutte proporzionali alla stessa maniera all’energia erogata;
  • in prospettiva, portare il valore teorico dell’UR a 1 kWh in modo da poterle utilizzare ai fini della determinazione del consumo involontario.

Sul primo punto vedremo se avrà qualche effetto l’iniziativa di Anaci che si è rivolta direttamente alla Commissione Europea per denunciare la mancata trasparenza nel caso di non programmazione dei ripartitori.

Per parte nostra, in qualità di soci, continuerà la pressione su UNI che finora non si è degnato di un cenno di risposta alle contestazioni riguardanti la modifica unilaterale della norma UNI 10200 in merito a questo punto. Forse non tutti sanno che finora sono state inviate 2 PEC al top management ed al presidente dell’UNI e la stessa richiesta è stata verbalizzata più volte al CTI. Silenzio di tomba assordante.

Per capire cosa intendiamo per trasparenza, facciamo un esempio semplice, illustrato nella figura n. 1.

 

 P2049 LS fig1

  

Fig. n. 1: Esempio di indicazioni ottenute non programmando e programmando i ripartitori

Prendiamo due radiatori:

  • il radiatore del bagno, con potenza di 500 W, che viene utilizzato di frequente con valvola termostatica su 3…4, funzionamento per 2.000 ore equivalenti durante la stagione di riscaldamento. L’energia complessivamente erogata è di 1.000 kWh;
  • il radiatore della sala, con potenza di 2.000 W che viene utilizzato saltuariamente con valvola termostatica su 3…4 (quando arrivano visite) mentre solitamente la valvola rimane su 2…3, funzionamento per 1.000 ore equivalenti durante la stagione di riscaldamento. L’energia complessivamente erogata è di 2.000 kWh. Anche se la temperatura impostata è più bassa, il locale (ed il radiatore) sono molto più grandi in sala ed il consumo è doppio rispetto al bagno.

Se i ripartitori non vengono programmati, le indicazioni sono 2.000 kWh (ovvero le UR corrispondenti) per il radiatore del bagno e 1.000 kWh per la sala.

Se i ripartitori vengono programmati, le indicazioni sono 1.000 kWh (ovvero le UR corrispondenti) per il radiatore del  bagno e 2.000 kWh per la sala.

Quale delle due indicazioni indica correttamente all’utente quanto sta consumando e perché? I ripartitori non programmati invertono l’indicazione del radiatore che consuma più dell’altro ed il fatto che la somma delle indicazioni sia sempre 3.000 è un puro caso, altrimenti sarebbe falsata anche la somma delle letture. Basta fare lo stesso esempio con 1,5 kW nella sala o 800 W nel bagno per rendersene conto.

A mio avviso non è una questione di norma tecnica UNI 10200 più o meno forzosamente alterata, ma una questione di legge.

Le leggi, la Direttiva 2012/27/UE e poi il D.Lgs. 102/14, pretendono che le informazioni visualizzate sui display servano all’utente per comprendere e regolare il suo consumo energetico. Come può l’utente comprendere e regolare il suo consumo con i ripartitori “in scuro”?

Anche se la norma tecnica UNI 10200, a seguito di una modifica arbitraria d’imperio, non impone più di programmare un ripartitore anche se programmabile, il progettista ha sicuramente il diritto (a mio avviso il dovere) di ritenere la programmazione dei ripartitori una prescrizione inderogabile per garantire la conformità alla legge dell’impianto di contabilizzazione progettato.

Quanto ai ripartitori non programmabili, fatti salvi i modelli ad evaporazione, dove evidentemente ci si doveva accontentare del possibile, non ne capisco la ragione d’essere e li ritengo dispositivi tecnologicamente obsoleti e superati nell’era dell’elettronica.

6. Quanti kWh per UR?

A proposito di equivalenza UR/kWh, ritengo pacifico che, con le comprensibili approssimazioni del caso, tutti i ripartitori installati in un condominio debbano dare indicazioni aventi lo stesso fattore di proporzionalità fra UR corrette e kWh.

Non c’è ragione che questo fattore di proporzionalità cambi a seconda del radiatore (sarebbe una ripartizione fuori legge oltre che iniqua, visto che il D.Lgs. 102/14 chiede la fatturazione in base agli effettivi prelievi volontari) oppure che cambi di anno in anno, perché questo vorrebbe dire che dipende dall’entità del prelievo annuo di ciascun condomìno, il che sarebbe ovviamente inaccettabile (fuori legge, iniquo …).

D’altra parte ogni anno si calcola il consumo volontario totale per differenza fra il consumo totale ed il consumo involontario totale definito a progetto. Tutti gli anni si può quindi fare una semplice operazione: dividere il consumo volontario totale per la somma delle indicazioni in UR dei ripartitori (kWh/UR medio per il sistema specifico). Questo rapporto deve mantenersi approssimativamente costante di anno in anno.

In caso contrario:

  • o le indicazioni di quei ripartitori non sono proporzionali all’energia erogata per loro costruzione, allora vanno semplicemente banditi dal mercato in quanto fuori legge;
  • o l’installazione non è corretta, ovvero non sono stati identificate correttamente le potenze dei corpi scaldanti ed i fattori di accoppiamento Kc e quindi occorre rivedere l’archivio del sistema;
  • o è errata la determinazione del consumo involontario e quindi del consumo volontario totale per cui occorre rivedere il criterio di calcolo del consumo involontario.

In tutti e tre i casi occorre intervenire in quanto vi è la prova dell’esistenza di un errore.

Inoltre, se si gestisce più di un impianto con ripartitori della stessa marca e modello, non c’è ragione che il fattore di proporzionalità fra UR ed energia erogata sia diverso da un condominio all’altro.

Si tratta di verifiche molto semplici in quanto banale aritmetica su dati comunque noti.

Se qualche lettore ha dati di questo tipo ce lo comunichi, sarà nostra cura far valere queste osservazioni e far aggiungere nella norma UNI 10200 un capitolo “controllo qualità”. Credo che ne vedremo delle belle.

7. Conclusione

Ritengo che la soluzione proposta al quesito se i millesimi vadano determinati in base alla situazione originaria o corrente, sia ora sufficientemente solida e ragionevole.

E’ supportata da un ragionamento che tiene conto di riferimenti giuridici, tiene conto degli interventi importanti sull’edificio e previene uno stillicidio di mini modifiche a seguito di piccoli interventi autonomi dei condomini.

Verranno fuori sicuramente altre problematiche in merito alla contabilizzazione individuale: siamo solo all’inizio della sua applicazione sistematica. La varietà delle situazioni che si possono riscontare è semplicemente incredibile. E’ quindi normale che ci siano ancora dei casi dubbi sui quali occorrerà ragionare con calma ed applicare i principi generali che sono stati identificati.

E’ altrettanto normale che non tutte le risposte a tutti i quesiti si possano trovare belle pronte nella norma. La metà Svizzera che c’è nella mia testa, constata come gli italiani siano abilissimi nel generare situazioni complicate, anche geniali sotto certi aspetti, ma poi si lamentano perché non trovano la soluzione precisa per il loro caso specifico nella norma, che vorrebbero semplice ma bizantina allo stesso tempo.

Non si può avere tutto dalla vita…

Pubblicato il: 31/12/2015
Autore: L. Socal