Il calcolo della potenza termica nominale dei corpi scaldanti con il metodo dimensionale

Il calcolo della potenza termica nominale dei corpi scaldanti con il metodo dimensionale

Dopo quasi trent’anni di utilizzazione e ventidue anni di presenza nella norma UNI 10200 qualcuno si accorge che questo calcolo esiste e lo contesta perché non è previsto dalla norma UNI EN 834.

PREMESSA

Il metodo dimensionale per il calcolo della potenza nominale dei corpi scaldanti, è contenuto nella norma UNI 10200 fin dalla sua prima edizione del 1993 ed è stato utilizzato su vasta scala per la valorizzazione della potenza termica dei corpi scaldanti negli impianti di contabilizzazione del calore già dal 1988.

Da allora, nel corso dei ventisette anni trascorsi, nessuno ha messo in dubbio la sua validità; qualche perplessità da alcuni avanzata è stata subito fugata dalla sua applicazione a modelli di corpo scaldante muniti di certificato di prova secondo UNI 6514/69 o UNI EN 442 e verificandone la sostanziale coincidenza dei dati.

Evidentemente la UNI 10200 è stata largamente disattesa in questi anni: solo ora infatti, dopo che il D.Lgs. 102/14 ne ha reso obbligatoria l’applicazione, vengono avanzati pesanti dubbi sulla validità del metodo dimensionale “perché i dati da essi ottenuti non coincidono con i dati che costituiscono il patrimonio” di alcune aziende. Peccato che questi dati siano “segreti” e non è dato conoscerne le relative origini, salvo generiche assicurazioni di prove non meglio identificate.

Vale pertanto la pena di conoscere meglio le origini di questo metodo, tutto italiano, perché non ci risulta compreso in altre norme.

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IL CONTESTO CHE HA GENERATO L’ESIGENZA DEL METODO DIMENSIONALE

Fino agli anni 50 la valutazione dei corpi scaldanti era basata sulla loro superficie di scambio (tutta la superficie a contatto con l’aria). Date le forme complesse dei corpi scaldanti tale dato non era di facile determinazione; si prestava quindi ad approssimazioni difficilmente verificabili dall’utente.

A tali superfici i produttori dei corpi scaldanti attribuivano una trasmittanza K (oggi U) da loro determinata e dichiarata, sulla base di metodologie non codificate.

Questa incertezza non comportava particolari problematiche tecniche perché la potenza termica dei corpi scaldanti, per il dimensionamento degli impianti, era calcolata con la norma UNI 7357, che prevedeva un margine di sicurezza molto elevato, dell’ordine del 100%.

I produttori più seri soffrivano però il disagio di una tale situazione, che aveva conseguenze dirette sulla valutazione economica dei corpi scaldanti, traducendosi spesso in un ostacolo alla leale concorrenza commerciale.

Tutti quindi, tecnici e produttori, avvertivano chiaramente l’esigenza di valutare i corpi scaldanti sulla base della loro emissione termica, determinata attraverso misure certe e ripetibili.

L’U.C.MA.R. (Ufficio Controllo Materiali di Riscaldamento), associazione fra produttori di generatori e radiatori in ghisa, è stato costituito nel 1960 allo scopo di fare ordine in questo settore. Ha pertanto iniziato con la verifica delle superfici dei corpi scaldanti, elemento essenziale in quel momento per la loro valutazione economica (lire/m2).

A tale fine, la sua commissione tecnica ha elaborato un metodo unificato piuttosto complesso, condiviso da tutti i produttori associati, per la misura accurata della superficie di scambio dei corpi scaldanti delle aziende associate.

Le “commissioni di misura”, composte da un numero minimo di tre tecnici appartenenti ad aziende concorrenti, hanno misurato tutti i modelli prodotti dalle aziende associate rendendo attendibile almeno il dato di superficie su cui si basava appunto la valutazione economica.

Si trattava tuttavia di un primo passo del tutto insoddisfacente, nella convinzione che solo l’emissione termica fosse l’unico vero parametro di valutazione.

In parallelo con la misurazione delle superfici, la commissione tecnica dell’U.C.MA.R., in collaborazione con gli istituti di Fisica Tecnica dei Politecnici di Milano e di Torino e dell’Università di Padova, sulla scorta di dati ottenuti in una camera di prova sperimentale costruita presso il Politecnico di Milano, ha sottoposto all’UNI una prima bozza di norma di prova che, dopo esauriente discussione nell’ambito della Commissione UNI Riscaldamento, è stata approvata e pubblicata come norma UNI 6514-69.

Una prima serie di prove, effettuata già prima dell’approvazione della norma, nella camera di prova di Milano è stata invalidata perché i risultati non hanno soddisfatto i costruttori. Si è detto che la camera di prova del Politecnico di Milano era troppo piccola e costruita in ferro, materiale troppo diverso da quello delle comuni abitazioni, per assicurare risultati attendibili, per cui la norma ha previsto dimensioni nettamente superiori e l’uso di materiali simili a quelli con i quali sono costruite le comuni abitazioni.

Dopo l’uscita della norma e la costruzione di due nuove camere di prova a Torino e a Padova è iniziato un nuovo ciclo di prove, distribuite sulle due nuove camere di prova.

Anche questa serie è stata invalidata per insufficiente precisione delle misure; la ripetibilità ottenuta, utilizzando le due camere con operatori diversi e strumenti diversi è risultata molto bassa e quindi inaccettabile, in considerazione dello sconvolgimento commerciale che avrebbe provocato il passaggio dalla vendita a superficie alla vendita a calorie.

Va aggiunto, per comprendere il problema, che tutti i produttori erano favorevoli teoricamente alla vendita a calorie perché ognuno era convinto che il proprio radiatore fosse il più efficiente sul mercato. I risultati sconvolgevano però queste convinzioni, modificando i rapporti commerciali fra aziende concorrenti.

La commissione tecnica del-l’U.C.MA.R., nell’intento di superare questi problemi, ha progettato una serie di “super termometri” contenenti ognuno 6 termocoppie, suddivise in due serie di tre, più una per la registrazione, tarate periodicamente presso l’Istituto Termometrico Colonnetti di Torino con la precisione massima possibile. Inoltre le prove sono state eseguite in una sola camera di prova (quella di Torino) utilizzando solo due operatori particolarmente esperti ed affiatati, ed avvalendosi di alcuni radiatori campione per verificare nel tempo che non vi fossero derive di tutto il sistema di misura.

Nelle decine di prove di ripetibilità l’errore non ha mai superato lo 0,4%, togliendo ai produttori ogni pretesto per non riconoscere i risultati delle prove.

Con queste modalità l’U.C.MA.R., poi divenuto E.CO.MA.R. (Ente Controllo Materiali Riscaldamento), ha eseguito quasi settecento prove termiche sui corpi scaldanti delle aziende associate con una precisione che è rimasta unica in Europa per i motivi che saranno di seguito illustrati.

Nel periodo intercorrente fra i primi anni 70 e gli anni 80, superate tutte le diffidenze e tutti i problemi di mercato, l’E.CO.MA.R. ha pubblicato le rese termiche di tutti i corpi scaldanti delle aziende associate sui propri bollettini semestrali.

Determinante per la normalizzazione del mercato è stata poi la pubblicazione della Legge 373/76 che, all’art. 22, ha prescritto ai produttori di materiali di riscaldamento di “fornire al pubblico i listini tecnici con l’attestazione della rispondenza dei componenti e delle apparecchiature alle vigenti norme UNI” (nel ‘76 la norma UNI 6514 era probabilmente l’unica norma riguardante i prodotti per riscaldamento, per cui è risultato chiaro il riferimento ai corpi scaldanti).

Gli anni 90 sono stati caratterizzati dai lavori normativi della Comunità Europea. Nelle prime riunioni europee del TC 130 l’Italia era rappresentata da diverse associazioni (radiatori in ghisa, radiatori in acciaio e radiatori in alluminio). E’ parsa subito una situazione inopportuna, per cui le associazioni di categoria, fra cui l’E.CO.MA.R. sono confluite nell’A.N.I.M.A., associazione di emanazione confindustriale, più adatta a rappresentare il nostro paese in Europa.

In ambito europeo, negli anni seguenti, è stata discussa ed approvata la norma UNI EN 442, che ha unificato in Europa metodologie e camere di prova per i corpi scaldanti.

Purtroppo ne ha sofferto però la precisione di misura, dovuta all’allargamento delle tolleranze sulle misure delle camere (per far rientrare il maggior numero di camere di prova esistenti) e l’allargamento del numero di operatori di diversa sensibilità con disponibilità di strumentazione varia.

L’Italia ha contribuito con la progettazione di una serie di “radiatori campione” da utilizzare attraverso interscambio fra le camere per tenere almeno sotto controllo eventuali differenze.

IL METODO DIMENSIONALE

La disponibilità di dati di prova UNI 6514/69, di alta precisione, per centinaia di corpi scaldanti di tipo diverso ed il fermento dei produttori nella ricerca di modelli dotati di prestazioni migliori, più adatti per la vendita a calorie, ha destato molto interesse. Si trattava di capire quali erano i parametri più influenti sulla resa termica dei corpi scaldanti (data la spietata concorrenza, dovuta ad una certa sovra-produzione, negli anni 70 pochi punti percentuali in più o in meno sulla resa termica dei corpi scaldanti potevano rappresentare la fortuna o la fine di un’azienda).

Su iniziativa del segretario dell’E.CO.MA.R., motivato anche dall’interesse di alcuni professori dell’Istituto di Fisica Tecnica del Politecnico di Milano, che hanno messo a disposizione strumenti e attrezzature di prova, con il consenso dell’E.CO.MA.R., è stato avviato un pur modesto lavoro di ricerca.

La ricerca è consistita nel distacco di due elementi di ciascun radiatore provato nella camera di Torino e nel taglio di un tronchetto da circa 15 cm in modo da ottenere una sezione trasversale.

Il tronchetto, opportunamente inchiostrato è stato usato come timbro per ottenere su carta la sezione del corpo scaldante sulla quale poter effettuare agevolmente tutte le misure possibili.

Tutti questi dati geometrici: altezza, larghezza, dimensione delle colonne, distanza fra le colonne, superfici, trasmittanze, ecc., sono stati incolonnati e ordinati su fogli quadrettati da 70x50 cm, in modo da poterli facilmente analizzare e confrontare (occorre ricordare, per non sembrare stupidi, che allora non esistevano ancora i computer, o almeno non erano alla portata di tutti).

È parso subito evidente che i radiatori più estesi (per es. piastre ad un solo rango o radiatori a due colonne) con più superficie rivolta all’esterno erano quelli che conferivano alla superficie di scambio le trasmittanze migliori.

Le teorie della fisica tecnica venivano prontamente in soccorso: tutte le superfici interne che si fronteggiano non emettono per radiazione, mentre quelle che “vedono” l’ambiente esterno, emettono per radiazione e per convezione, con una trasmittanza all’incirca doppia rispetto a quella delle superfici interne solo convettive.

Un evento casuale ha aggiunto nuovi elementi di conoscenza alla ricerca. Un produttore di corpi scaldanti ha richiesto la prova termica di un radiatore in alluminio estruso grezzo. I risultati hanno molto deluso il produttore, che ha contestato la prova. Si è quindi saputo che dall’alluminio grezzo il produttore si aspettava una migliore resa termica, “perché la vernice avrebbe comportato una maggiore resistenza termica”.

Si è dovuto quindi dimostrargli, con l’ausilio di un radiometro, che l’alluminio grezzo aveva una emissione per radiazione praticamente nulla, mentre la stessa superficie, anodizzata o verniciata, in qualsiasi colore, purché priva di pigmenti metallici, aveva un’emissione per radiazione vicina all’unità.

Queste prove hanno fornito alla ricerca risultati preziosi, consentendo di misurare per differenza fra prima (alluminio grezzo) e dopo (alluminio verniciato) l’apporto della componente radiante.

Individuata questa componente (314xS) era possibile ricavare la componente convettiva per differenza fra potenza nominale UNI 6514/69 totale e quella solo radiante.

Dal confronto dei dati tabulati si è potuto constatare una certa correlazione dell’emissione per sola convezione con il volume del corpo scaldante, in funzione della tipologia di corpo scaldante.

Evidentemente, le forme geometriche dei corpi scaldanti in commercio erano già state ottimizzate dai rispettivi produttori, quanto a dimensioni delle colonne, spazio fra le colonne, quantità di alettature, ecc.

In questo modo è stata ricavata la tabella che rappresenta il cosiddetto “metodo dimensionale” che non aveva, nè ha tutt’ora, alcuna pretesa di sostituirsi ai metodi di prova.

Per capire tuttavia la sua utilità è il caso di sapere che, negli anni 70, prima che la prova termica divenisse obbligo di legge, i dati di potenza termica correnti sul mercato erano del tutto inaffidabili. Alcune categorie di prodotti, guidati probabilmente solo da logiche di concorrenza commerciale, dichiaravano dati maggiorati mediamente del 60%, altre categorie li aumentavano mediamente del 100% con punte del 130% (dati rilevati dall’E.CO.MA.R. mediante decine di prove su corpi scaldanti acquistati sul mercato).

Con il metodo dimensionale sono stati individuati errori dell’ordine del 15% anche su prove certificate da Enti al disopra di ogni sospetto. Gli errori sono stati prontamente segnalati e riconosciuti dagli enti stessi.

Per le ragioni suddette, dopo lo scioglimento dell’E.CO.MA.R., il metodo è stato proposto al gruppo di lavoro del CTI che si occupava di contabilizzazione del calore con il metodo indiretto.

Che lo si voglia dire o no, il metodo indiretto misura l’energia emessa dal corpo scaldante moltiplicando la sua potenza nelle condizioni di impiego per il tempo. Se la potenza è sbagliata anche l’energia misurata è sbagliata. Essendo utilizzata però solo per la ripartizione, gli effetti dell’errore si riducono notevolmente. Il problema diventa grave in presenza di corpi scaldanti di tipo diverso nello stesso edificio.

Il metodo dimensionale quindi, essendo basato su leggi fisiche, se correttamente usato, per corpi scaldanti compresi nella tabella inclusa nella norma, fornisce potenze notevolmente affidabili, com’è agevole verificare confrontando il valore calcolato con certificati di prova affidabili.

L’affermazione di un produttore, che ha dichiarato nell’ultima riunione del GL 803, di avere individuato errori dell’ordine del 70% rispetto ai dati da lui posseduti, è un’evidente autodenuncia dell’inaffidabilità dei suoi dati.

Va infine rilevato che i metodi di prova, UNI EN 442 o 6514/69, prevedono misure su radiatori composti da un minimo di 10 elementi (e fino a 25/30). L’emissione per elemento è ottenuta dividendo l’emissione totale per il numero di elementi.

Questo dato si presta molto bene per la valutazione commerciale ed anche tecnica, per il dimensionamento degli impianti. Non si presta invece per la contabilizzazione del calore con il metodo indiretto, perché non tiene conto della diversa incidenza della radiazione delle facce laterali, che diventa sensibile per radiatori di pochi o pochissimi elementi.

Un’ultima considerazione: dall’epoca di costruzione della tabella, le tipologie di corpi scaldanti si sono evolute; sono sul mercato tipologie apparentemente simili, ma con distanze dei mozzi di 90 mm, per i quali la tabella non è utilizzabile.

Data la difficoltà di aggiornare la tabella, essendo impossibile reperire dati coerenti con quelli di allora, conviene utilizzare la tabella per radiatori non più esistenti sul mercato, ma presenti in quantità negli edifici esistenti, valutando i corpi scaldanti più recenti attraverso i dati della norma UNI EN 442, trattati però con il metodo dimensionale, come previsto dalla norma UNI 10200, per radiatori composti da un numero di elementi inferiore a 10.

Pubblicato il: 30/06/2015
Autore: F. Soma